30.6.09,9:58 AM
Mamma, mamma, da grande voglio fare l'utilizzatore finale o di come la determinazione sia l'unica vera base per un lucroso futuro...
ON AIR: Eye in the sky, Alan Parsons Project
Mm... ultimamente sono di concetti semplici. Per carità, nei limiti della mia idea di 'semplicità', è chiaro, ma in linea di massima ho una precisa e lineare scaletta di bisogni, azioni e pensieri a cui mi attengo doverosamente. Il cibo, il sonno, il sesso, il silenzio... all'insorgere di una necessità corrisponde la soddisfazione più o meno immediata. Direi che tutto il mondo dovrebbe seguire questo indirizzo di massima: trovo che gran parte dei problemi collettivi si risolverebbero. E' chiaro che questo non è un inno al furto, allo stupro e alla maleducazione: lungi da me, sono troppo a modo per dare consigli del genere. Ma bisognerebbe che un po' tutti facessero pace con la parte bestiale che è in loro: tra l'altro, secondo me, in alcuni è particolarmente sviluppata e sono proprio quelle - temo - le persone che tentano di dissimulare la loro vera natura dietro un bel paravento di parole, parole, parole... Gesù, non ne posso più di parole.
In realtà, ho perso il filo. Non so bene neanche io quale dovesse essere il punto... ma penso qualcosa che abbia a che fare con: 2+2=4. Elementare, rigoroso, inevitabile. E basta con le elucubrazioni sul nulla assoluto.
Mi rendo conto, però, che il discorso qui sopra potrebbe costituire una netta ed evidente contraddizione con la mia pretesa di far ergere al di sopra di tutto e tutti la mente: la divina mente, perlomeno nel mio caso specifico. In quello di altri, averla o non averla fa pochissima differenza. Ma dicevo... Io continuo a pensare che l'essere umano debba imporre i giusti filtri e le giuste limitazioni alle proprie pulsioni animali, altrimenti non saprei dove andare a cercare il motivo della nostra supremazia su scimpanzé, cani, gatti, pesci rossi e Silvio Berlusconi. Il mio ragionamento, però, è un po' più astratto [già, è più forte di me] e probabilmente anche un tantino metaforico: io dico che la gente si riempie la testa e la bocca di complicazioni cervellotico-trascendentali per non dover ammettere soprattutto a se stessa il vuoto pneumatico. Ma è tutto clamorosamente inutile: quando si è niente, è inevitabile che il niente prenda il sopravvento. Su tutto e in modo particolare su quelle complicazioni vagamente intellettuali di cui si è cercato di vivere. E, in ogni caso, arriverà il momento di rimboccarsi le maniche e fare a pugni con se stessi, con gli altri, con la vita e quindi con dolori reali: arriverà il momento di assumersi la responsabilità di quello che - volenti o nolenti - si è. Non esiste solo il 'vorrei', 'potrei', 'farei': il condizionale, di solito, si coniuga sempre dopo il presente e il passato, e pure dopo il futuro. Il condizionale è una convenzione tutta umana per far pace con la sfilza di banalissime frustrazioni che da tempo immemore ci portiamo dietro.
Probabilmente siamo fatti un po' tutti di questa pasta. Sarei presuntuosa e disonesta se lo negassi, se pensassi di potermene tirare fuori. Però io rispetto le persone e sono costante nell'amore che provo, sempre. Per me non esistono umori rivoltati, non esistono momenti no, non esistono risposte latitanti e frasi non dette: la mia porta è stata sempre aperta. Ma sono stanca - mortalmente stanca - di dover bussare, di dover parlare sottovoce, di dover pensare sempre che potrei ferire qualcuno e io giammai. Specialmente se tutto questo è unilaterale. Sono stanca di sforzarmi di non far rumore, di misurare ogni parola e ogni gesto, di chiudere gli occhi se qualcosa mi fa impazzire dal dolore o dalla rabbia: non ne posso più. Ho raggiunto il livello di saturazione e adesso le mie parole pesano: ogni singola parola pesa in modo micidiale. E non sopporto chi aggredisce per non venire aggredito a sua volta: la trovo una forma offensiva di vigliaccheria.
Io non voglio più sorridere a chi mi ferisce, chiunque egli sia. E questo è quanto.

Sai cosa? Non mi capita solo di piangere sul treno che mi porta lontano da te, anche solo per una settimana o addirittura per un giorno. Mi capita anche di sorridere senza motivo, come una pazza isterica, se penso che durante il giorno farò qualsiasi cosa e poi la sera sarò insieme a te. Già. In biblioteca, io sorrido perché tra una o due ore aprirò la porta di casa tua e dopo un po' arriverai anche tu, con quel sorrisone tutto per me. Per strada, io sorrido perché lunedì andremo in Umbria ed io sono felice: potremmo andare anche a Vaccarizzo calabro con la diligenza ed io sarei comunque contenta di farlo insieme a te [ovviamente non si tratta di una vera proposta ma di una pura e semplice iperbole testuale, tengo a precisare]. Io sorrido quando alzo la testa e mi accorgo di un aereo, perché noi a settembre andremo a Berlino ed io non avrei mai neanche osato sognare di poterci tornare ancora una volta insieme a te. Io sorrido in metro [e lì non è per niente facile] perché so che tra poco mi darai un bacio piccolo piccolo sulle labbra. Io sorrido in treno perché sono fioriti i girasoli e per me è un indizio di felicità eterna, assoluta, che ci sia un campo enorme proprio sulla strada che porta a casa tua. Io continuo a sorridere perché la tua pelle mi commuove sempre e mi commuoverà anche oggi.
Sì, non è da molto - anzi, è da pochissimo - che sorrido tanto.

And I don't need to see anymore to know that
I can read your mind.


 
Tutto sommariamente presunto da Ofelia ,
con 6 superflua/e manifestazione/i d'interesse, sovente opinabile/i
7.6.09,1:56 PM
L'astensionismo è la nuova religione civile o del come sia inutile persino lamentarsi...
ON AIR: Suzanne, Fabrizio De Andrè
Il titolo di questo post potrebbe trarre in inganno: non ho alcuna intenzione di parlare delle elezioni. La nausea, ormai totale e totalizzante, si è trasformata in una forma sonnecchiosa di torpore idelogico-decisionale: in parole povere, sono rimasta a Roma e comunque, anche tornando in Calafrica, non sarei andata a votare. O al limite avrei invalidato la scheda. O avrei dato fuoco al seggio [no, troppo impegnativo].
E sì che "il paese è reale". Ma, in tutta franchezza, io preferirei che non lo fosse.
Ad ogni modo, la mia vita ha colori poco definiti in questo periodo: la laurea, Barcellona e quindi il primo vero viaggio con Lui, i giorni a seguire, tutto mi è sfuggito dalle mani abbastanza in fretta. Ho avuto il cuore gonfio e strabordante per qualche settimana mentre adesso è subentrata la piena incapacità di decidere per un sentimento, un umore, una disposizione d'animo qualsiasi. I Negramaro direbbero "in bilico". Io no. Fa un po' troppo "chenesaràdinoi" e temo che la cosa non faccia per me.
Sono circa due settimane che sono qui, da Lui. E sto bene. Bene come mi capita di stare soltanto quando vado a dormire con Lui e mi sveglio al mattino con Lui: quando il sonno sopravviene mentre m'incastro nel Suo abbraccio e quando il giorno mi entra negli occhi ed io sono lì, con la Sua pancia contro la schiena, a godermi la felicità ridicola del Suo respiro regolare. Lo so ch'è patetico. Ed è poco da me. Ma in questo momento il mio benessere ha questo indirizzo: io non posso farci niente. Tantomeno far finta di aver voglia di rinunciarvi, anche solo per mezza giornata: io ho conosciuto giorni in cui il dolore arrivava a strappare le carne a morsi e a masticare via enormi brandelli di me. Ci sono stati vuoti abissali, nei miei ventitre anni di vita, e una solitudine cieca che colpiva ovunque e con chiunque fossi, ad ogni ora del giorno e soprattutto della notte, fondandosi consapevolmente sulla certezza assoluta che non avrei mai avuto due occhi buoni in cui perdermi abbandonando ogni difesa. Io devo vivere questa pace: non posso sputare su tutte le speranze - per quanto poco convinte - che mi hanno dato di che vivere in tanti anni passati a farmi del male. E non è che Lui mi abbia risolto la vita, perché a volte è tutto molto complicato, ma questo tipo di discorso non ha alcun senso: non ho bisogno di domandarmi se sia giusto lasciarmi cadere fiduciosamente dentro la Sua vita. Io semplicemente non posso evitarlo: Lui è lo spettacolo clamoroso - semi mistico - che ribalta ogni sicurezza, quasi come quel tramonto incantevole che fa pensare per un secondo che dio possa esistere davvero, in fin dei conti e al di là di tutto. Lui è quel tramonto. E Lui è la persona a cui vorrei far "desiderare di essere un uomo migliore", disperatamente. Mi è inevitabile.
Ah. Un anno e un giorno dall'uscita del film di Sex & the City. Un anno dal "bivio" e dalla notte in cui non mi hai liberato dalle tue braccia neanche per un minuto.
La mia vita ha un senso. Anzi, ne ha più di uno. Quella di altri non so.

Perché ti ha toccato il corpo con la mente.



 
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