ON AIR: Suzanne, Fabrizio De Andrè
Il titolo di questo post potrebbe trarre in inganno: non ho alcuna intenzione di parlare delle elezioni. La nausea, ormai totale e totalizzante, si è trasformata in una forma sonnecchiosa di torpore idelogico-decisionale: in parole povere, sono rimasta a Roma e comunque, anche tornando in Calafrica, non sarei andata a votare. O al limite avrei invalidato la scheda. O avrei dato fuoco al seggio [no, troppo impegnativo].
E sì che "il paese è reale". Ma, in tutta franchezza, io preferirei che non lo fosse.
Ad ogni modo, la mia vita ha colori poco definiti in questo periodo: la laurea, Barcellona e quindi il primo vero viaggio con Lui, i giorni a seguire, tutto mi è sfuggito dalle mani abbastanza in fretta. Ho avuto il cuore gonfio e strabordante per qualche settimana mentre adesso è subentrata la piena incapacità di decidere per un sentimento, un umore, una disposizione d'animo qualsiasi. I Negramaro direbbero "in bilico". Io no. Fa un po' troppo "chenesaràdinoi" e temo che la cosa non faccia per me.
Sono circa due settimane che sono qui, da Lui. E sto bene. Bene come mi capita di stare soltanto quando vado a dormire con Lui e mi sveglio al mattino con Lui: quando il sonno sopravviene mentre m'incastro nel Suo abbraccio e quando il giorno mi entra negli occhi ed io sono lì, con la Sua pancia contro la schiena, a godermi la felicità ridicola del Suo respiro regolare. Lo so ch'è patetico. Ed è poco da me. Ma in questo momento il mio benessere ha questo indirizzo: io non posso farci niente. Tantomeno far finta di aver voglia di rinunciarvi, anche solo per mezza giornata: io ho conosciuto giorni in cui il dolore arrivava a strappare le carne a morsi e a masticare via enormi brandelli di me. Ci sono stati vuoti abissali, nei miei ventitre anni di vita, e una solitudine cieca che colpiva ovunque e con chiunque fossi, ad ogni ora del giorno e soprattutto della notte, fondandosi consapevolmente sulla certezza assoluta che non avrei mai avuto due occhi buoni in cui perdermi abbandonando ogni difesa. Io devo vivere questa pace: non posso sputare su tutte le speranze - per quanto poco convinte - che mi hanno dato di che vivere in tanti anni passati a farmi del male. E non è che Lui mi abbia risolto la vita, perché a volte è tutto molto complicato, ma questo tipo di discorso non ha alcun senso: non ho bisogno di domandarmi se sia giusto lasciarmi cadere fiduciosamente dentro la Sua vita. Io semplicemente non posso evitarlo: Lui è lo spettacolo clamoroso - semi mistico - che ribalta ogni sicurezza, quasi come quel tramonto incantevole che fa pensare per un secondo che dio possa esistere davvero, in fin dei conti e al di là di tutto. Lui è quel tramonto. E Lui è la persona a cui vorrei far "desiderare di essere un uomo migliore", disperatamente. Mi è inevitabile.
Ah. Un anno e un giorno dall'uscita del film di Sex & the City. Un anno dal "bivio" e dalla notte in cui non mi hai liberato dalle tue braccia neanche per un minuto.
La mia vita ha un senso. Anzi, ne ha più di uno. Quella di altri non so.
Perché ti ha toccato il corpo con la mente.
Il titolo di questo post potrebbe trarre in inganno: non ho alcuna intenzione di parlare delle elezioni. La nausea, ormai totale e totalizzante, si è trasformata in una forma sonnecchiosa di torpore idelogico-decisionale: in parole povere, sono rimasta a Roma e comunque, anche tornando in Calafrica, non sarei andata a votare. O al limite avrei invalidato la scheda. O avrei dato fuoco al seggio [no, troppo impegnativo].
E sì che "il paese è reale". Ma, in tutta franchezza, io preferirei che non lo fosse.
Ad ogni modo, la mia vita ha colori poco definiti in questo periodo: la laurea, Barcellona e quindi il primo vero viaggio con Lui, i giorni a seguire, tutto mi è sfuggito dalle mani abbastanza in fretta. Ho avuto il cuore gonfio e strabordante per qualche settimana mentre adesso è subentrata la piena incapacità di decidere per un sentimento, un umore, una disposizione d'animo qualsiasi. I Negramaro direbbero "in bilico". Io no. Fa un po' troppo "chenesaràdinoi" e temo che la cosa non faccia per me.
Sono circa due settimane che sono qui, da Lui. E sto bene. Bene come mi capita di stare soltanto quando vado a dormire con Lui e mi sveglio al mattino con Lui: quando il sonno sopravviene mentre m'incastro nel Suo abbraccio e quando il giorno mi entra negli occhi ed io sono lì, con la Sua pancia contro la schiena, a godermi la felicità ridicola del Suo respiro regolare. Lo so ch'è patetico. Ed è poco da me. Ma in questo momento il mio benessere ha questo indirizzo: io non posso farci niente. Tantomeno far finta di aver voglia di rinunciarvi, anche solo per mezza giornata: io ho conosciuto giorni in cui il dolore arrivava a strappare le carne a morsi e a masticare via enormi brandelli di me. Ci sono stati vuoti abissali, nei miei ventitre anni di vita, e una solitudine cieca che colpiva ovunque e con chiunque fossi, ad ogni ora del giorno e soprattutto della notte, fondandosi consapevolmente sulla certezza assoluta che non avrei mai avuto due occhi buoni in cui perdermi abbandonando ogni difesa. Io devo vivere questa pace: non posso sputare su tutte le speranze - per quanto poco convinte - che mi hanno dato di che vivere in tanti anni passati a farmi del male. E non è che Lui mi abbia risolto la vita, perché a volte è tutto molto complicato, ma questo tipo di discorso non ha alcun senso: non ho bisogno di domandarmi se sia giusto lasciarmi cadere fiduciosamente dentro la Sua vita. Io semplicemente non posso evitarlo: Lui è lo spettacolo clamoroso - semi mistico - che ribalta ogni sicurezza, quasi come quel tramonto incantevole che fa pensare per un secondo che dio possa esistere davvero, in fin dei conti e al di là di tutto. Lui è quel tramonto. E Lui è la persona a cui vorrei far "desiderare di essere un uomo migliore", disperatamente. Mi è inevitabile.
Ah. Un anno e un giorno dall'uscita del film di Sex & the City. Un anno dal "bivio" e dalla notte in cui non mi hai liberato dalle tue braccia neanche per un minuto.
La mia vita ha un senso. Anzi, ne ha più di uno. Quella di altri non so.
Perché ti ha toccato il corpo con la mente.