Andate tutti, ed in fretta, ad ascoltare Franco Battiato dal vivo e non sperate neanche per un minuto di potervi mettere in salvo dalla tristezza...
ON AIR: Verranno a chiederti del nostro amore, Fabrizio De Andrè
Tutto quel che so è che quel giorno doveva andare diversamente.
Ero eccitata, come da diverso tempo non mi capitava di essere. Saresti arrivato all'ora di pranzo, ti saresti mescolato alla confusione di voci, ti saresti seduto a tavola e, mangiando le lasagne, mi avresti pestato accidentalmente il piede. Con quegli stivali enormi che porti, eppure senza farmi male. Io non volevo guardarti, non volevo parlarti: volevo solo dimostrarti qualcosa, anche quando il resto del mondo si è improvvisamente dileguato, restituendoci l'immagine desolante di noi due soli, indaffarati a dissimulare disagio. Su tutto, a mo' di manto profetico o forse di sudario, la consapevolezza categorica che non doveva succedere. Niente, doveva succedere.
E' stato più o meno allora ch'è successo. Mentre te ne stavi lì, a debita distanza, fingendo impegno in occupazioni incredibilmente futili e lanciandomi quelle tue frecciatine malefiche sul senso più o meno pornografico di questa e di quella canzone. E io semplicemente t'ignoravo, intenta - com'ero - a soffocare nel buonsenso il timore di scontrarmi con te, su quel "noi" sospeso nell'eterno silenzio dell'inspiegabile. T'ignoravo e ti contraddicevo, deliberatamente, sperando di sembrarti indisponente, sperando di costringerti a punirmi.
Allora sei arrivato, a saggiare la consistenza prona della mia carne.
Non farmi del male. Non farmi del male. Non farmi del male.
Ti sei disteso di fianco a me, sulla mia coperta pesante, e hai accettato con supponente benevolenza la mia testa sul tuo petto, il braccio intorno alla tua vita e tutto il mio corpo teso ad ascoltarti respirare. Zitta, io, zitta, perchè tu potessi respirare a pieni polmoni tutta quella mia voglia patetica d'immolarmi nel tuo nome.
Eccomi, eccomi. Sono tutto quello di cui hai bisogno. E a buon mercato.
Quel giorno io volevo solo tenerti con me, giuro. Non volevo eccitarti e non volevo finire a letto con te: non ho mai smesso di desiderarlo, neanche per un'ora della mia esistenza, da quando si è tenuto quel nostro primo - buffissimo e disperato - incontro/scontro, ma quel giorno pensavo a tutt'altro. Pensavo a come intrappolarti nella mia vita e renderti comodo e accogliente il tuo soggiorno perpetuo nella mia anima.
Io sì che avrò cura di te.
A salvarti. A nient'altro pensavo. Poi hai parlato.
- Ho voglia di sporcherie.
Ed io manco avevo capito che andavi dicendo.
- Facciamo le sporcherie, dai.
- Non dirlo.
No, non dirlo. Non adesso. Non adesso che ti amo di un amore puro. Tienimi così, tienimi così e basta.
- Ormai l'ho detto.
E' passato più di un anno - quasi due - ma io me lo ricordo distintamento, come se fosse accaduto due mesi fa. Mi ricordo della faccia che avevi e di quel sorrisetto malizioso, mi ricordo del modo in cui mi sei salito sopra e della lentezza con cui hai preso a baciarmi, mi ricordo del reggiseno giallo che mi hai strappato via e di quei morsetti delicati al mio seno. Ti sei alzato a chiudere la porta, ad un certo punto, e hai acceso la luce dell'abat-jour rosa, mi hai fatto mettere a sedere ed io ho fatto quello che sapevo volevi.
Devo prenderlo in bocca, vero, baby? Perchè ti amo, devo prenderlo in bocca.
Io sapevo come colpirti, sapevo come sorprenderti, sapevo cosa fare e come guardarti. E' stata un'eternità intera, quella in cui ti sentivo così mio e indifeso da non vedere limiti al mio potere su di te. Era perfetto, averti tra le mie labbra e sentire che non avresti voluto essere in nessun altro posto, che non avresti voluto fare a meno di me. Non in quel momento, no, non in quel momento.
Poi ci hanno interrotti. E' stato quasi un trauma accettare la realtà fra quelle quattro mura, le voci e il casino imprevisto. Sei andato in bagno, di soppiatto, e quando sei tornato eri di nuovo il mio carnefice.
Per favore. Non chiedo altro che le parole giuste. Almeno stavolta.
- Sei brava, eh, a fare queste cose.
E tu non capisci un cazzo, invece. Un cazzo di niente. Una troietta, ecco cosa sono. Una troietta.
L'ho rimosso tutto l'odio che ho provato, in quel momento. Quell'odio misto ad attesa febbricitante, nell'incontrollabile speranza che tu potessi salvare in qualche modo quel quadro sconfortante. Quei noi due appesi all'incomprensibile crudeltà di un'ora animalesca, e poi più niente. Noi due. Noi due che siamo nati per salvarci.
Quella notte hai dormito da me. Ho trascorso perlomeno due ore a guardarti, senza mai distogliere lo sguardo, cercando di capire, lacrimando quasi sulla mia incapacità di capire. Non poteva essere stato solo un momento, una parentesi infelice in un mare di coerenza. Me lo ripetevo ossessivamente. Ed io lo so - adesso lo so - che dovevo svegliarti, mettermi vicina a te ed implorarti di darmi una versione di tutto che non fosse così lancinante. Che non mi si abbattasse sulle ossa, così, senza darmi il tempo di provare a scappare.
Sei così bello. Sei così tu.
Non ho fatto niente. O forse qualcosa ho fatto, sì. Mi sono rassegnata a far finta di nulla, a dissimulare l'ossessione di saperti, sempre, non completamente mio. E' diventata quasi una malattia, ormai: una male incurabile. Sai no? Quei mali atroci di cui si dice che t'aiutano a crescere, a capire il senso autentico della vita, perchè tanto un altro lato positivo non ce lo puoi trovare, neanche adoperando tutta la buona volontà del cosmo. E allora finisce che ti rassegni a soccombere. E magari cominci a credere in dio.
Io sono tua. Per sempre, tua.
Un giorno mi abbraccerai in un certo modo. Io lo so, che succederà. Ed io ti perdonerò, per tutto. Succederà senza che tu te ne accorga - sarò brava a non far rumore - e poi saremo salvi. Con le ossa rotte, magari sanguinanti, ma salvi.
Continuerai a farti scegliere o finalmente sceglierai.
perchè adesso?
cioè, perchè queste cose hai scritte proprio adesso e non in qualsiasi altro momento?