Quella posizione è tremenda. Ofelia lo pensa mordendo il labbro inferiore: le mani stringono la base della poltrona bianca, ai lati delle sue cosce, la testa rimane sospesa all'indietro in una posa innaturale che la rassegnazione tinge di melodrammatico e il tutto finisce con l'assumere i tratti di un quadro macabro dai risvolti - non pochi - decisamente comici. Intanto, il dottore - di guanti di lattice vestito - si diverte a frugare nei cuniculi più oscuri del suo ventre, del ventre di Ofelia, mentre una vocina stridula le sussurra all'orecchio ch'è ormai arrivato il momento di perdere conoscenza.
- Dottore, mi scusi ma mi cedono le gambe.
- Signorina, stia calma: è tutto a posto, ho quasi fatto.
- No, dottore: io mi sento svenire.
- E' una sua impressione, signorina: mi creda.
- Dottore...
- Vuole che smetta?
- La prego.
Con l'odore nauseabondo del lubrificante nelle nari, Ofelia sente che, chiudendo le gambe, può mettere al riparo qualche brandello di lei che avrebbe dovuto lasciare intatto, proteggere e preservare ormai troppi anni or sono: arrossendo di un pudore che non prova, Ofelia camuffa ancora una volta l'insopportabile debolezza di non aver ancora digerito traumi senza fine e dignità abbarbicate sul niente.
E' come uno stupro, tutte le volte, e le scappa da piangere mentre passi lenti e inerti la riportano a casa. C'è uno strano senso di vuoto che, partendo dal basso ventre, si dilata in misure ineguali lungo tutto il suo corpo, in ogni direzione, irradiando panico e senso di colpa, dolore e redenzione, silenzio e caos infernale. E' tutto così grigio, Ofelia: stringiti nella giacca, passa le dita sotto gli occhi con l'aria indifferente che sai simulare, quando piangi e non sai - non puoi - spiegare il perchè.
- Dottore, mi scusi ma mi cedono le gambe.
- Signorina, stia calma: è tutto a posto, ho quasi fatto.
- No, dottore: io mi sento svenire.
- E' una sua impressione, signorina: mi creda.
- Dottore...
- Vuole che smetta?
- La prego.
Con l'odore nauseabondo del lubrificante nelle nari, Ofelia sente che, chiudendo le gambe, può mettere al riparo qualche brandello di lei che avrebbe dovuto lasciare intatto, proteggere e preservare ormai troppi anni or sono: arrossendo di un pudore che non prova, Ofelia camuffa ancora una volta l'insopportabile debolezza di non aver ancora digerito traumi senza fine e dignità abbarbicate sul niente.
E' come uno stupro, tutte le volte, e le scappa da piangere mentre passi lenti e inerti la riportano a casa. C'è uno strano senso di vuoto che, partendo dal basso ventre, si dilata in misure ineguali lungo tutto il suo corpo, in ogni direzione, irradiando panico e senso di colpa, dolore e redenzione, silenzio e caos infernale. E' tutto così grigio, Ofelia: stringiti nella giacca, passa le dita sotto gli occhi con l'aria indifferente che sai simulare, quando piangi e non sai - non puoi - spiegare il perchè.
A volte, è maledettamente necessario sentirsi soli.
All'improvviso, sale la rabbia. Non è giusto sapersi una causa persa fin dalla nascita e trovare conferme ad ogni tappa fondamentale della propria esistenza: non è che Ofelia si pianga addosso... è solo che a volte il dolore è così acuto che la sua acme corrode l'autocontrollo, lacera la stabilità e infila una disperazione cruda, nera, persino dentro gli occhi. E Ofelia non riesce più a sorridere, neanche per un minuto. E desidererebbe una comprensione che non può avere, desidererebbe parole che non può ricevere e un abbraccio che quelle fottute braccia non sanno dare: Ofelia piange fin da subito la consapevolezza di non poter soffrire, di non averne alcun diritto.
Eppure la gente piange per così poco, pensa Ofelia, e intanto si domanda ancora una volta quale sia la qualità segreta, quella di cui bisogna essere dotati, che permetta di meritare un po' di tenerezza.
All'improvviso, sale la rabbia. Non è giusto sapersi una causa persa fin dalla nascita e trovare conferme ad ogni tappa fondamentale della propria esistenza: non è che Ofelia si pianga addosso... è solo che a volte il dolore è così acuto che la sua acme corrode l'autocontrollo, lacera la stabilità e infila una disperazione cruda, nera, persino dentro gli occhi. E Ofelia non riesce più a sorridere, neanche per un minuto. E desidererebbe una comprensione che non può avere, desidererebbe parole che non può ricevere e un abbraccio che quelle fottute braccia non sanno dare: Ofelia piange fin da subito la consapevolezza di non poter soffrire, di non averne alcun diritto.
Eppure la gente piange per così poco, pensa Ofelia, e intanto si domanda ancora una volta quale sia la qualità segreta, quella di cui bisogna essere dotati, che permetta di meritare un po' di tenerezza.
Sai finger bene ma so che hai fame.
Pelle, è la tua proprio quella che mi manca.
A volte è piacevole leccarsi le ferite.