Leccare la confezione di questa insolita tipologia di yogurt mi causa brividi e spasmi lungo la schiena, più o meno come strofinare il dito contro il margine del piatto di carta. Ho paura che i miei nervi soffrano di qualche orripilante dissociazione. Anzi, no, non ne ho paura: ne ho quasi la certezza.
Ciò non toglie che sono questi i momenti della vita in cui una donna ha bisogno di sentirsi amata. Questi per dire quest'altri. Cioè, sempre. Cioè, in realtà non è vero: stavo solo tentando di scrivere qualcosa e temporeggiare, in attesa di un'illuminazione che possa dirsi tale senza doversene poi vergognare.
Mi rendo conto che la primavera significa destabilizzazione cerebrale [oltre che fisiologica].
Cos'altro? Ah, sono riuscita a ferire [o quantomeno a scalfire] i sentimenti dell'incorruttibile stallone padano e perciò sono tremendamente addolorata. Non sto scherzando. O comunque molto meno del solito.
Cos'altro? Ah, la vicepreside del mio illustre liceo ha pensato bene di riprendermi per via dei miei jeans e domandarmi se pensassi che fossero pantaloni consoni ad una scuola. Roba da aprirla in due [da dietro], farcirla di merda e lanciarla fuori dal balcone. Possibilmente, impalata. E ci sono rimasta anche un po' male: pensare che quei jeans lì sono decisamente presentabili. Oggettivamente, intendo.
Cos'altro? Ah, no. Niente.
Eccetto che, stamattina, lavorando di spazzolino sulla mia dentatura perfetta, pensavo che m'infastidisce alquanto che sia la canzone dei Good Charlotte a ricordargli di quando ero lì. E non Twenty years dei Placebo. E ma dico. Porcoiddio.
Cose da niente. Lo so.
So get up.